articolo di mercoledì 07 luglio 2010
Trappola degli 007 contro Obama
di Gian Micalessin
Isolare l’India, neutralizzare Washington, controllare l’Afghanistan consegnando al suo debole presidente Amid Karzai una pace su misura e garantire, infine, la sopravvivenza del clan Haqqani e di un parte di Al Qaida. Dietro la notizia della cattura - vera o presunta - del Mullah Omar si nasconde un sinistro trappolone. Un trappolone gestito dal potente capo dell’esercito pakistano generale Ashfaq Parvez Kayani e dal suo braccio destro generale Ahmad Shuja Pasha, attuale comandante dell’Isi, il più importante servizio segreto di Islamabad. Le indiscrezioni sulla cattura del Mullah Omar, forse da tempo sotto controllo pakistano, sembrano l’ennesima avvisaglia di un complotto geopolitico che ha già costretto alle dimissioni il capo dei servizi segreti afghani Amrullah Saleh e potrebbe aver influito su quelle del comandante americano Stanley McChrystal sospettato di aver inconsapevolmente avallato le mosse pakistane prestando troppa fiducia a Karzai.
Cominciamo dalle dimissioni di Saleh. L’ex luogotenente di Ahmad Sha Massoud, strenuo nemico di talebani e pakistani, si ritrova alla porta ai primi di giugno. Con lui viene cacciato anche il ministro degli Interni Mohammad Hanif Atmar, un ex funzionario del Khad - i servizi segreti filosovietici anni Ottanta - che condivide le stesse avversioni di Saleh. I due nelle settimane precedenti si sono strenuamente opposti ai negoziati segreti tra il presidente Karzai e il «clan Haqqani», la struttura filotalebana manovrata dall’Isi, sospettata di fornire ospitalità a Bin Laden tra le montagne del Waziristan. I colloqui organizzati dal generale Kayani e dal capo dell’Isi generale Shuja Pasha rappresentano un autentico contropiede strategico capace di neutralizzare i piani americani che prevedono trattative con i talebani moderati, ma puntano alla totale distruzione di Al Qaida, del clan Haqqani e di tutti i gruppi legati al terrorismo internazionale. La chiave di quel contropiede è il sempre più debole Karzai convinto da Kayani e Shuja Pasha ad accettare una pace garantita da Islamabad e totalmente svincolata dal controllo americano. In quella pace non c’è spazio per il Mullah Omar o per altri capi talebani, fautori di un Afghanistan indipendente. In quella pace c’è posto solo per alleati disposti a collaborare ai disegni di egemonia regionale del Pakistan.
La scelta degli Haqqani non è casuale. Il suo capo storico, il comandante Jalaluddin Haqqani, è un fedelissimo alleato dell’Isi sin dagli anni Ottanta. Non a caso Jalaluddin ha svolto, per esplicita richiesta dell’Isi, le funzioni di comandante generale dei talebani nella guerra agli americani del 2001. Dopo la sconfitta, e prima di passare lo scettro al figlio Sirajuddin, ha inoltre concesso protezione ai fuggitivi di Al Qaida nei santuari pakistani del Waziristan controllati dal suo clan e ha organizzato d’intesa con l’Isi numerosi attentati anti-indiani sul suolo afghano. Trattare con Haqqani significa dunque garantire la sopravvivenza di Al Qaida. Il primo a rendersene conto è l’ex agente della Cia e consigliere della Casa Bianca Bruce Riedel. «La decisione di Karzai di cacciare Saleh e Atmar mi preoccupa più di qualsiasi altro sviluppo», tuona l’ex agente che chiede, probabilmente, anche delucidazioni sul sostegno garantito al presidente Karzai dal comandante McChrystal. La posizione del generale americano si fa ancor più imbarazzante alla luce degli 11 incontri intercorsi con Kayani nel corso dell’ultimo anno. Alla Casa Bianca molti incominciano a dubitare di un comandante che oltre a nutrire eccessiva fiducia per Karzai sembra anche incapace d’intuire le pericolose e sofisticate trame pakistane.
Le incaute dichiarazioni rese dal generale alla rivista Rolling Stone potrebbero dunque rivelarsi solo un pretesto per allontanarlo e per coprire leggerezze assai più gravi dal punto di vista strategico. A quelle leggerezze è ora chiamato a mettere una pezza il comandante David Petraeus, un generale che Kayani non ha mai amato. Un generale che appena arrivato a Kabul ha detto «siamo qui per vincere». O meglio «non siamo qui per sottoscrivere i piani di Islamabad».
Cominciamo dalle dimissioni di Saleh. L’ex luogotenente di Ahmad Sha Massoud, strenuo nemico di talebani e pakistani, si ritrova alla porta ai primi di giugno. Con lui viene cacciato anche il ministro degli Interni Mohammad Hanif Atmar, un ex funzionario del Khad - i servizi segreti filosovietici anni Ottanta - che condivide le stesse avversioni di Saleh. I due nelle settimane precedenti si sono strenuamente opposti ai negoziati segreti tra il presidente Karzai e il «clan Haqqani», la struttura filotalebana manovrata dall’Isi, sospettata di fornire ospitalità a Bin Laden tra le montagne del Waziristan. I colloqui organizzati dal generale Kayani e dal capo dell’Isi generale Shuja Pasha rappresentano un autentico contropiede strategico capace di neutralizzare i piani americani che prevedono trattative con i talebani moderati, ma puntano alla totale distruzione di Al Qaida, del clan Haqqani e di tutti i gruppi legati al terrorismo internazionale. La chiave di quel contropiede è il sempre più debole Karzai convinto da Kayani e Shuja Pasha ad accettare una pace garantita da Islamabad e totalmente svincolata dal controllo americano. In quella pace non c’è spazio per il Mullah Omar o per altri capi talebani, fautori di un Afghanistan indipendente. In quella pace c’è posto solo per alleati disposti a collaborare ai disegni di egemonia regionale del Pakistan.
La scelta degli Haqqani non è casuale. Il suo capo storico, il comandante Jalaluddin Haqqani, è un fedelissimo alleato dell’Isi sin dagli anni Ottanta. Non a caso Jalaluddin ha svolto, per esplicita richiesta dell’Isi, le funzioni di comandante generale dei talebani nella guerra agli americani del 2001. Dopo la sconfitta, e prima di passare lo scettro al figlio Sirajuddin, ha inoltre concesso protezione ai fuggitivi di Al Qaida nei santuari pakistani del Waziristan controllati dal suo clan e ha organizzato d’intesa con l’Isi numerosi attentati anti-indiani sul suolo afghano. Trattare con Haqqani significa dunque garantire la sopravvivenza di Al Qaida. Il primo a rendersene conto è l’ex agente della Cia e consigliere della Casa Bianca Bruce Riedel. «La decisione di Karzai di cacciare Saleh e Atmar mi preoccupa più di qualsiasi altro sviluppo», tuona l’ex agente che chiede, probabilmente, anche delucidazioni sul sostegno garantito al presidente Karzai dal comandante McChrystal. La posizione del generale americano si fa ancor più imbarazzante alla luce degli 11 incontri intercorsi con Kayani nel corso dell’ultimo anno. Alla Casa Bianca molti incominciano a dubitare di un comandante che oltre a nutrire eccessiva fiducia per Karzai sembra anche incapace d’intuire le pericolose e sofisticate trame pakistane.
Le incaute dichiarazioni rese dal generale alla rivista Rolling Stone potrebbero dunque rivelarsi solo un pretesto per allontanarlo e per coprire leggerezze assai più gravi dal punto di vista strategico. A quelle leggerezze è ora chiamato a mettere una pezza il comandante David Petraeus, un generale che Kayani non ha mai amato. Un generale che appena arrivato a Kabul ha detto «siamo qui per vincere». O meglio «non siamo qui per sottoscrivere i piani di Islamabad».
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