IL BLOG DEL LIBRO DI GIAN MICALESSIN PUBBLICATO DA BOROLI EDITORE
Un avvincente viaggio nei complotti dei servizi segreti pakistani che negli anni 80 aiutano la resistenza anti-sovietica in Afghanistan per conto della Cia alimentando, al tempo stesso la nascita di un’internazionale islamica ferocemente antioccidentale. Il racconto di come spie, generali e scienziati di Islamabad rubano il nucleare all’Occidente, costruiscono la prima atomica islamica e ne rivendono i segreti a Iran, Libia e Corea del Nord. Una spy story lunga 30 anni ambientata nel paese dove Osama Bin Laden fonda Al Qaida. Un libro fondamentale per comprendere le mosse di servizi segreti e apparati deviati che minacciano di distruggere il Pakistan e consegnare i suoi arsenali nucleari al terrore integralista.

venerdì 2 aprile 2010


il Giornale venerdì 26 marzo 2010

Riecco Osama: «Uccideremo tutti gli ostaggi americani»

di Gian Micalessin
Lo sceicco del terrore torna a minacciare: «Nessuna pietà se gli Usa giustizieranno Khaled Sheik Mohammed»
L’hanno evocato e rieccolo qua. Smessi gli abiti da ecologista, dimenticate le accuse all’America sull’effetto serra di fine gennaio, riecco l’Osama terrorista di sempre. O almeno il suo inconfondibile “flatus vocis” sempre pronto a promettere sfaceli. Riemerge dalla sorda solitudine del suo rifugio e la resurrezione, seppur solo vocale, sembra la risposta alle richieste dei sempre più spauriti fedeli. «Ritorna, facci sentire la tua voce, dacci delle indicazioni, siamo allo sbando», recitava un messaggio intercettato settimane fa dalla Cia e indirizzato al grande capo da un suo luogotenente annidato nel Nord Waziristan pakistano.
Il comandante in ambasce era uno dei pochi sopravvissuti alla micidiale offensiva dei Predator, gli aerei senza pilota guidati da Langley che stanno decimando i vertici di Al Qaida a colpi di missili. Da quel pizzino emergeva l’immagine di una banda allo sfascio, priva di collegamenti con il boss alla macchia. E così Osama si ritrova costretto a sputar mezzo sussurro che risuona, al primo ascolto, come il mormorio di un capo isolato e sempre più sconnesso dall’attualità. «La Casa Bianca ha dichiarato di voler giustiziare Khaled Sheikh Mohammed. Il giorno in cui gli Usa metteranno in pratica questa decisione – strilla la voce ritrasmessa da Al Jazeera – tutti quelli nelle nostre mani verranno giustiziati». La registrazione continua accusando il presidente Barack Obama di seguire «la stessa politica del suo predecessore», di mantenere una massiccia presenza militare in Afghanistan e di continuare a riservare un ingiusto trattamento «ai nostri prigionieri, primo tra tutti Khaled Sheikh Mohammed».
L’aspetto più interessante e al tempo stesso inquietante dell’appello è, però, la scarsa attinenza con l’attualità. Il numero uno di Al Qaida ha già dimostrato di essere seriamente penalizzato dal suo isolamento e di non riuscire ad intervenire con tempestività su avvenimenti e fatti di cronaca. Nell’ultimo messaggio, diffuso a fine gennaio, rivendicava l’attentato di Natale sul volo per Detroit e discettava sulle accuse all’America rilanciate durante la conferenza sui cambiamenti climatici di metà dicembre. Parlava insomma con un mese di ritardo.
Stavolta il distacco dalla cronaca è ancor più marcato. Il processo a Khaled Sheik Mohammed, il pianificatore degli attacchi dell’11 settembre, e ai suoi complici non è stato ancora nè pianificato, nè programmato. L’amministrazione Obama vorrebbe sottrarlo ai giudici militari e restituirlo alle corti federali. Fin qui nulla è ancora deciso, ma se la Casa Bianca non cambierà idea quel processo si svolgerà a New York, a due passi da Ground Zero, trasformandosi in un evento simbolo e in un ghiotto obbiettivo. Quest’ipotesi fa rabbrividire analisti ed esperti di sicurezza sempre alla ricerca di messaggi in codice. In questo caso il messaggio di Osama potrebbe nascondere l’invito a concentrare le scarse risorse e i pochi militanti ancora a disposizione per colpire quel processo, intimidirne i giudici e condizionarne l’esito con uno spietato utilizzo di ostaggi e plateali esecuzioni.
Nelle parole di Bin Laden si celerebbe dunque l’invito alle varie filiazioni mondiali di Al Qaida a non rilasciare gli ostaggi per utilizzarli al meglio e con il massimo effetto in corrispondenza del processo a Khaled Sheik Mohammed. Lo sceicco del terrore inviterebbe inoltre a preparare attentati esemplari capaci di segnare con il sangue e la paura l’avvio del procedimento. Barack Obama continuando la sua guerra ai tribunali militari, considerati un simbolo dell’era Bush, rischia dunque di offrire un bersaglio facile e succulento ad un Al Qaida che avrebbe, altrimenti, grosse difficoltà a colpire con efficacia.
Ma se l’America si preoccupa neppure l’Italia sorride. Se Al Qaida punta veramente a fare il pieno di ostaggi allora anche le trattativa per la liberazione dell’ostaggio italiano Sergio Cicala e di sua moglie, prigionieri da tre mesi di Al Qaida nel Maghreb, rischiano d’interrompersi drammaticamente. E di non ripartire fino all’eventuale processo di New York.

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